Riepilogo Contenuti
A partire dal 2010 circa, nel campo della moda si è diffusa una tendenza stilistica molto precisa. Sembra che i più rinomati marchi di moda stiano tutti cambiando identità visiva, e tutti allo stesso modo. I loghi vengono “rinfrescati” o ridisegnati con dei canoni comuni:
- utilizzo di font sans serif geometrici e neutrali
- tipografia in maiuscolo.
Pare che la direzione sia quella di rendere più globali questi marchi, abbandonando il retaggio storico dell’azienda e semplificandone le forme ed i volumi. Vediamo qualche esempio tra i più interessanti degli ultimi anni.
Saint Laurent
Nel 2012, il designer francese Hedi Slimane viene nominato Direttore Creativo di uno dei marchi di moda più rinomati al mondo: Yves Saint Laurent. Poco dopo aver intrapreso il nuovo incarico, Slimane decide di alterare l’identità visiva dell’azienda.
Non solo l’estetica del logo viene modificata, ma anche il nome stesso: da “Yves Saint Laurent” a “Saint Laurent”. Il nuovo logo è un richiamo alla nomenclatura originale “Saint Laurent Rive Gauche”, e utilizza il font Helvetica, disegnato proprio in quell’epoca (anni ’60).
Nonostante le iniziali critiche, concentrate soprattutto sulla decisione di abbandonare il logotipo e il monogramma disegnati dal famoso pittore Cassandre nel 1961, la nuova identità è stata un successo. Il progetto ha vinto il premio “Best Rebranding” di Wallpaper*, e ha lanciato una corrente di branding minimale nella moda.
Calvin Klein
Tramite Instagram, a febbraio 2017, il marchio Calvin Klein ha svelato il suo nuovo logo. La rinnovata tipografia viene descritta come “ritorno allo spirito originale”.
Per questo progetto, il Direttore Creativo Raf Simons ha collaborato con il designer e direttore artistico Peter Saville, famoso per le sue copertine di album per i Joy Division e New Order
(gruppi di cui Simons è appassionato). Il logotipo richiama esteticamente il marchio originale, ma senza risultare troppo vintage.
Balenciaga
Nella stessa direzione s’è mossa anche Balenciaga, quando ha svelato il suo nuovo logo. Ispirato alla chiarezza e leggibilità della segnaletica stradale, il nuovo marchio è più compatto e dallo stile neutro, ed è stato progettato internamente all’azienda.
Il rinnovato logo si inserisce nel più ampio piano del Direttore Creativo Demna Gvasalia, che dal 2015 ha stravolto l’identità di Balenciaga. In quello stesso anno lo studio grafico Bureau Borsche ha realizzato il nuovo sito web per l’azienda, contribuendo all’affermazione dell’estetica norm-core di Balenciaga.
Burberry
Insieme a Saint Laurent, il caso di Burberry rappresenta il rebranding più radicale e controverso degli ultimi anni. Il logo passa da un elegante serif invariato da 20 anni ad un sans serif geometrico e dalle forme nette, ed eliminando il Cavaliere Equestre in uso dal 1901.
Lo scopo è stato quello di rendere il brand più internazionale e contemporaneo; perdendo il richiamo stilistico all’Inghilterra, è stato deciso di introdurre “London England” come seconda linea del logotipo.
Il Direttore Creativo Riccardo Tisci ha collaborato con Peter Saville per questo progetto, e insieme hanno anche creato un monogramma dedicato al fondatore Thomas Burberry da utilizzare principlamente come pattern.
Celine
Un caso invece molto più discreto e meno radicale è quello di Celine. Voluto da Hedi Slimane, il nuovo logo abbandona l’accento, e rifinisce la forma e la spaziatura delle lettere.
L’azienda descrive queste scelte in un post su Instagram, spiegando che l’accento è stato abbandonato per una questione di equilibrio, e che la tipografia si ispira direttamente al logotipo utilizzato negli anni ’60.
Balmain
Insieme alla presentazione della Pre-Fall di dicembre 2018, Oliver Rousteing, Direttore Creativo di Balmain, ha introdotto un nuovo logo. La fresca tipografia è stata realizzata internamente all’azienda, e ci sono voluti più di sei mesi per perfezionarla.
Lo scopo del nuovo lettering è quello di allontanarsi da uno stile vintage.
Insieme al logotipo è stato presentato anche un monogramma, che incastra sia la B di Balmain sia la P di Pierre (fondatore dell’azienda) in modo armonioso. Il monogramma vuole aumentare la riconoscibilità dell’azienda e consolidare la sua identità.
Zara: Il caso insolito
L’eccezione che conferma la regola è rappresentata dal nuovo logo di Zara. Svelato a gennaio 2019, il rinnovato logotipo rimane sullo stesso stile di quello disegnato nel 2011. La tipografia resta infatti serif, quello che cambia è la spaziatura tra le lettere.
Il progetto è stato oggetto di controversie da parte di clienti dell’azienda ma anche professionisti nel campo della grafica e della moda. Le critiche riguardano tutte quanto il ridotto spazio tra le lettere e l’incastro di esse abbia creato un guazzabuglio di forme confuse.
Il futuro dei marchi nella moda
Cosa è successo quindi ai loghi del mondo della moda? La tendenza di questi Direttori Creativi ha delle motivazioni tecniche e sociali. A livello tecnico, il concetto di logo sta cambiando: questo diventa un contenitore, neutro e poco caratterizzato, in modo da lasciare spazio al carattere del marchio. L’applicazione dei loghi è anche molto diversa rispetto a 50 anni fa, considerando la serie di media su cui l’identità visiva di una azienda viene applicata. L’estetica sans serif è più chiara e leggibile su diversi formati, soprattutto nel mondo digitale.
Analizzando le ragioni sociali di questo trend stilistico si capisce quanto sia evidente la volontà di rompere con il passato. Questi Direttori Creativi stanno compiendo una vera e propria rivoluzione, iniziata con l’abbandono dei nomi di battesimo dei fondatori di molte case di moda. In questo preciso momento storico, spesso ci capita di rivalutare opinioni e situazioni del passato, ed è comprensibile pensare che queste grandi case di moda non vogliano necessariamente essere associate ai nomi di quelli che adesso possiamo considerare dei patriarchi.
La rottura con il passato si traduce visivamente nell’adozione di tipografia geometrica, modernista e senza fronzoli, l’esatto opposto di quello a cui siamo stati abituati fino ad ora. Questa omogeneità dell’industria globale è però rischiosa, soffocando l’abilità di diverse culture di esprimersi tramite la propria voce. I presupposti della rivoluzione sono quindi basati su buone intenzioni, ma il rischio è quello di creare un mondo di marchi di moda tutti uguali.