Riepilogo Contenuti
Philip Kotler, Kevin Lane Keller, Seth Godin ma non solo.
Li conosci? Sono alcuni dei più importanti esperti di marketing, branding e comunicazione al mondo. Qualcuno, li chiama Guru. Li cito già da inizio articolo sia per ringraziarli pubblicamente di quanto hanno pensato, scritto e fatto; sia perché, oggi, il loro pensiero è stato messo in forte discussione da una parolina – sameness.
Ma vado con ordine, raccontandoti in primis perché dobbiamo essere riconoscenti a questi grandi esponenti del marketing e delle tecniche di marca, sia perché in questi ultimi anni è emersa la necessità di ‘andare oltre’ rispetto ad alcuni dei loro pensieri più diffusi.
Nel branding, tutti convergono verso la differenziazione
Tutti gli autori che ho citato a inizio articolo, e in generale tutti i ‘padri’ e tutte le teorie fondamentali del marketing, convergono: i brand nascono per sottolineare e marcare le differenze. Non a caso, in Italia parliamo di marchi e marche. Perché sei impegnato costantemente a creare un’identità e un’immagine forte della tua azienda, se non per renderla unica e differenziata agli occhi di collaboratori, fornitori e (soprattutto) clienti? In tal modo, potrai così essere riconosciuto attraverso i materiali di comunicazione, gli annunci di lavoro, le pubblicità e le altre leve a disposizione.
Tutto sembra convergere, dunque: marketing, comunicazione e branding sono stati inventati e servono ogni giorno per creare differenziazione – nel migliore dei casi, unicità.
Uniqueness, appunto.
Il marketing dell’unicità è ciò che da sempre fa la differenza e si sviluppa attraverso una corretta brand & visual identity: tutti i vari touch point – dal sito web al packaging – sono indispensabili al brand per fare parlare di sè.
Come dice una bella frase che ho trovato sul blog dell’agenzia BBH, dunque, i vantaggi sono nascosti nelle differenze e nelle asimmetrie. Ovvero, nella creatività che deve essere alla base dell’esperienza progettata sulla uniqueness.
Un nuovo mindset di marketing portato dalla globalizzazione
Fin qui, tutto bene. Se non fosse per la globalizzazione! In effetti, il pensiero globale sta mettendo in questione questi aspetti fondamentali del marketing e del branding.
Lo spiego con un esempio: hai mai notato che le mappe della metropolitana si somigliano tutte? Che tu sia a Milano, Roma, Londra o New York, più o meno complesse che siano le metropolitane, le mappe sono molto simili. E questo, in quanto turista, rassicura non poco.
Guardati però intorno. Lo stesso vale per i layout dei negozi e dei nuovi spazi di co-working in giro per il globo così in voga, per i siti web e per tanti altri artefatti fisici e digitali.
Pensa anche a tutti i trend del visual design, come quello del logo nameless scelto da MasterCard, Apple, Nike, Shell e tanti altri.
Se la uniqueness differenzia, la sameness unisce e genera un collante visivo e percettivo tra oggetti diversi. Il motivo? Torno alla globalizzazione: perché tranquillizza e rasserena, genera un senso forte di déjà vu indipendentemente da dove ci si trova, e con chi.
Questione di equlibri
Quindi, dove sta la soluzione migliore per il tuo marketing?
Meglio differenziarsi, o integrarsi in quell’humus fatto di colori, visual, look & feel, forme tutte simili e così rassicuranti, che la globalizzazione ha man mano reso standard?
Come sempre, la risposta sta nel mezzo.
Celine
Se vuoi far sentire a casa la persona, chiunque e ovunque essa sia, scegli la sameness e progetta una brand experience globale. Il rebranding di ‘Céline’ in ‘Celine’ ha fatto molto discutere. Eliminando l’accento così francese e rendendo più contemporaneo il logo, l’azienda ha fatto un passo avanti importante verso la sameness, e un passo indietro dalla ‘francesità’. Vedremo se si è trattata di una decisione fortunata.
Archipelago
Se vuoi giocare con lo shock e l’esotico, spingiti più in là – sul filo della uniqueness. Quando parlo di brand experience, intendo la progettazione di ogni elemento dell’esperienza fatta vivere agli ospiti. Conosci Archipelago? Un ristorante molto reputato a Londra dove scorpioni e serpenti non sono più pericolosi insetti e anfibi, ma piuttosto succulenti piatti da assaporare con un buon vino (e da pagare caro a fine cena). Da gustare su piatti e con posate altrettanto esotici e differenzianti. Follia? Può darsi. Ma Archipelago è costantemente tra i ristoranti più reputati e meglio valutati di tutta la metropoli. Ovvero, di tutta Europa. Nonché indicizzato su Google per keyword come where to eat insects in London. Più coda lunga e unicità di così…
Ma attenzione: stai sempre attento a non banalizzare nel primo caso e a non forzare l’asticella di gusti, usi e costumi del cliente nel secondo. Tanta ricerca e un po’ di etnografia serviranno a orientarti nel giusto verso.
La prova del nove, la farà comunque sempre il / la cliente.
Buon lavoro.