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Se c’è un punto fermo in questi anni così dinamici e a tratti turbolenti, è certamente la pervasività del digitale.
Un paradigma che non solo rivoluziona e trasforma interi settori e aziende, ma che (di conseguenza) apporta enormi cambiamenti anche sul mercato del lavoro. Riuscire dunque a comprendere la portata del fenomeno e le sue prospettive future è centrale per la crescita della propria impresa, e offre anche la possibilità di orientare i percorsi di formazione continua verso i punti di attenzione che ci riserverà l’immediato domani.
Già nel 2017, una ricerca di Randstad effettuata studiando l’enorme mole di dati provenienti da oltre 540.000 job search pubblicate per la selezione di 239 figure professionali, faceva emergere la richiesta crescente di competenze digitali. Grazie agli effetti della digitalizzazione è aumentata infatti l’incidenza media in tutti i settori aziendali, con picchi per l’industria e le ricerche di personale da inserire all’interno di imprese che si occupano invece di servizi. Le posizioni che richiedono maggiore responsabilità necessitano ormai di professionisti con importanti abilità digitali per comunicare, vendere, amministrare.
Più recentemente, il rapporto OCSE – Randstad “Digital Skills – Unlocking Opportunities for All” ha utilizzato i big data per analizzare 417 milioni di annunci di lavoro postati online in 10 Paesi nell’ultimo decennio per comprendere le tendenze nella domanda di occupazioni digitali, identificare le competenze più richieste e i percorsi di riqualificazione più efficaci per la carriera delle persone.
- L’Italia, insieme alla Spagna, mostra la percentuale più alta di annunci che riguardano occupazioni digitali, pari al 12% del totale delle offerte di lavoro presenti online.
- Seguono Olanda, Singapore e UK (11%), Germania (10%), Belgio (9%), Usa e Francia (7%), Canada (6%).
- I maggiori tassi di crescita in tutti i Paesi sono relativi a sviluppatori di software, programmatori, data scientist e ingegneri.
Analizzando i requisiti dei diversi profili, il rapporto congiunto tra OCSE e Randstad rivela come le professioni digitali richiedano sia competenze tecniche che abilità cognitive di alto livello, necessarie per l’interpretazione dei dati.
Si tratta di una necessità ben identificata ed esplicitata anche dalla Commissione Europea, all’interno di un approfondimento su Digital Skills & Jobs:
Il Digital Economy and Society Index (DESI) mostra che 4 adulti su 10 e una persona su tre che lavora in Europa non hanno competenze digitali di base. C’è anche una bassa rappresentanza di donne nelle professioni e negli studi legati alla tecnologia, con solo 1 Specialista ICT su 6 e 1 laureato su 3 in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (STEM) donna.
I Lavori del Futuro…
In complementarità alla ricerca OCSE, la divisione Randstad Research ha realizzato un’ulteriore indagine per individuare oltre 100 professioni digitali che si stanno affermando nel mercato.
Il rapporto tra lavori in declino perché sostituiti dall’automazione digitale, e lavori in crescita trainati da attività innovative può essere positivo a una condizione: che le nuove figure tecnico-professionali vengano formate in abbondanza.
Se ragioniamo nel medio-lungo termine 10 sono particolarmente promettenti perché legate a innovazioni dirompenti.
- Programmatore di Computer Quantici
- Designer di oggetti digitali indossabili (Wearables)
- Esperto di sistemi di operatività a distanza – applicazioni industriali, chirurgia, preparazione di alimenti, …
- Progettista di sistemi di software e hardware integrati
- Broker delle tecnologie
- Specialista delle nuove frontiere applicative della Cyber Security
- Operatore della logistica automatizzata, smart e integrata
- Gestore della blockchain sicura, ecocompatibile e diffusa
- Personale sanitario capace di integrare attività presenza e da remoto
- Realizzatore di piattaforme di interazione virtuale in diversi ambiti (marketing, formazione, tempo libero, …)
Specularmente, queste professioni rappresentano un punto di attenzione per chiunque – imprenditori, manager, freelancer, professionisti, … – si occupi di business e di attività a valore aggiunto e che abbia a cuore la competitività nel medio-lungo termine del proprio progetto.
… e l’evoluzione delle professioni della comunicazione di oggi
E per quanto riguarda le professioni della comunicazione, cosa dobbiamo aspettarci? In una parola: tantissimo!
Probabilmente, infatti, non c’è un settore più impattato dal futuro di quello della comunicazione. Questo perché proprio la comunicazione (e le attività a essa correlate) sono legate a doppio filo dalle mutazioni sociali e culturali – così come il paradigma tecnologico.
Cosa dobbiamo aspettarci allora nell’immediato futuro?
Ho provato a fare chiarezza mappando tre delle principali mutazioni professionali e dei nuovi lavori che si stanno rapidamente facendo strada sul mercato del lavoro: parlo di Marketing Technologist, Conversation Designer, Brand Journalist. Le approfondisco nei sotto-capitoli seguenti.
1. Marketing Technologist
Da ormai una decina di anni si parla della (sempre più) necessaria ibridazione tra comunicazione, marketing e tecnologia. Essa però, che oggi può essere sulla carta corretta e necessaria – quasi banale! – nella pratica è complessa. Si tratta infatti di mondi approcciati in azienda in modo e da persone molto diverse, per cui il rischio dell’incomunicabilità è sempre dietro l’angolo ed è la principale causa dei fallimenti dei progetti di relazione con i clienti sui canali digitali.
Il Marketing Technology fa proprio questo: si insinua negli spazi a cavallo tra tecnologia, customer engagemente e marketing attraverso una visione a 360 gradi dell’azienda. Sempre, con la persona al centro.
Diverso tempo fa Scott Brinker – VP Platform Ecosystem in HubSpot – ha dato vita a chiefmartech.com, il principale spazio editoriale dedicato alla teoria e alla pratica della Marketing Technology. Dal 2011, poi, ha pubblicato il Marketing Technology Landscape. Una risorsa preziosissima per marketer, professionisti della comunicazione, manager, imprenditori, freelancer che mappa le soluzioni tecnologiche utili per i diversi ambiti del marketing, del business e della relazione con i clienti. Content Marketing, Dati e Analytics, eCommerce, Management, CRM, …
Si tratta di un numero di tool (e di rispettivi vendor) che nel tempo è andato a crescere a dismisura, come dimostra questa visualizzazione ripresa dal lancio dell’edizione 2022.
A proposito di visualizzazioni… considerando la complessità di lettura degli ultimi Marketing Technology Landscape, nel 2022 lo stesso Scott Brinker ha prodotto un sito web capace di restituire in modalità dinamica e interattiva i risultati, organizzandoli e classificandoli in funzione di diverse variabili. Si chiama Supergraphic e si tratta di uno strumento molto utile, per capire chi / cosa potrebbe supportarti nel fare evolvere il business digitale.
2. Conversation Designer
Alla base di qualsiasi conversazione – dunque, anche quella tra umani e chatbot – c’è la necessità di capire in modo univoco e di rispondere in modo coerente alle interazioni dell’interlocutore che si ha di fronte.
Un chatbot comprende i messaggi grazie alle tecnologie di Natural Language Understanding – NLU (la comprensione da parte delle macchine, della struttura e del significato del linguaggio umano) che analizzano e interpretano il linguaggio naturale usando più e meno complessi algoritmi di machine learning.
I Conversation Designer sono figure specializzate nella costruzione di flussi conversazionali che devono essere il più naturali e fluidi possibile per ricalcare quelle umane. Si occupano di formare gli algoritmi, alimentati con set di possibili domande chiamate User Says, che la macchina utilizza come esempi da seguire per fornire le risposte adeguate.
Viene anche affidata loro:
- la gestione della componente di NLU di un chatbot – ovvero l’elaborazione degli input che arrivano al sistema che permette di comprendere le richieste delle persone;
- la progettazione dei flussi conversazionali – ovvero la mappatura delle domande, delle risposte e delle informazioni che formano gli argomenti che ogni utente potrà trovare nella chat di conversazione ogni volta che chiederà di parlare con il chatbot.
Dunque, come ben riassume un articolo completo e interessante sul Conversation Designer pubblicato su Chatbots Magazine:
Il Conversation Designer deve comprendere sia la mente umana che quella artificiale e deve utilizzare tecniche di copywriting per assicurarsi che entrambi i cervelli si comprendano a vicenda.
Quali sono gli ambiti di competenza entro cui si muove questo nuovo professionista della comunicazione? Un ibrido tra:
- destrezza contenutistica legata al copywriting;
- sensibilità psicologica;
- conoscenza tecnica / tecnologica.
3. Brand Journalist
Nel 2008 Renzo Rosso concesse un’intervista dove tra le altre cose dichiarava: “i marchi dovranno sempre più essere gestiti come dei giornali”. Mai profezia fu più vera 🙂 e ha finalmente un nome – o meglio, una professione: Brand Journalist.
Il Brand Journalism, o Giornalismo d’Impresa, è informazione proposta da un’azienda sui temi di cui essa si occupa, e per il pubblico che raggiunge con i propri prodotti o servizi.
Il Brand Journalism è quell’attività aziendale che sfrutta le tecniche del giornalismo per raccontare la marca e il business attraverso contenuti informativi. Leggenda vuole che, come strategia di comunicazione aziendale, sia stata ideata nel 2004 da Larry Light, allora Chief Marketing Officer di McDonald’s.
Un Brand Journalist è dunque un giornalista competente, abile nel saper distillare le informazioni provenienti da più fonti e sfruttarle per creare un portfolio di contenuti a supporto del racconto di marca come:
- Long & short form content (articoli informativi su argomenti specifici)
- Landing page (pagine web create per una campagna marketing)
- Infografiche
- Script per i video
- Narrative pubblicitarie
- Post sui social media
- E-mail di marketing
- Podcast
- …
I contenuti possono spaziare dalle Brand News, atte a diffondere la conoscenza dell’azienda, narrando prodotti e servizi, persone, storia e attività aziendali, alle Industry News, che servono a potenziare la reputazione dell’impresa nel settore di riferimento, informando sul proprio contributo e valorizzando anche quello di altre imprese. Fino alle Current News, volte a promuovere il brand come fonte di notizie attuali su tematiche specifiche, siano esse legate al DNA economico del brand oppure no, ma di interesse per l’azienda (corporate social activism).
Non è un caso che, come ricordato da Forbes, in tempi non sospetti un tempio della comunicazione come Advertising Age avesse selezionato il Brand Journalism come la definizione più realistica ed esaustiva del marketing contemporaneo.
Il Brand Journalism forza la comunicazione aziendale a passare dal dialogue (interazione 1-a-1) al multilogue (interazione molti-a-molti).
L’elemento certamente più interessante per questa professione, sta nello studiarne e cercare di comprenderne le prossime evoluzioni in linea con i cambiamenti tecnologici e innovativi in atto.
- In che modo, come persone e come aziende, potremo continuare a fare brand journalism e content marketing nel Metaverso?
- Come incideranno l’Augmented Reality e la Virtual Reality nella capacità di creare contenuti aziendali affidabili, rilevanti, autentici?
Queste sono solo due delle tantissime domande che possiamo (e dobbiamo!) porci per non farci trovare impreparati.
Un mercato sempre più dinamico
In questo articolo abbiamo passato in rassegna alcuni dei dati e dei lavori più interessanti per immaginare il futuro delle professioni – in particolare, quelle legate al mondo della comunicazione in azienda.
Se c’è una cosa certa del futuro, è la sua imprevedibilità. Possiamo però iniziare subito a lavorare su noi stessi e sulla nostra azienda per farci trovare pronti. In tanti modi! Per esempio, dando il giusto peso alla tecnologia e al peso che avrà sempre più sulla nostra quotidianità, e attrezzandoci per dare il benvenuto a componenti sempre più innovative all’interno dell’organico aziendale. Buon lavoro 🙂