Trasferitasi dalla Germania a New York per poi tornare in Germania, attualmente Julia Hoffman vive in Svizzera. Ex Senior Creative Director di Etsy ed ex Creative Director del MoMA, il suo lavoro è stato per lo più ispirato da alcune opere su cui aveva puntato gli occhi, congiuntamente a situazioni di vita reale (come il voler ricongiungersi con l’amore della sua vita, dare alla luce un figlio o mettere su famiglia). Nell’attuale veste di Executive Creative Director per il Central Creative Studio di EF, affronta nuove ed entusiasmanti sfide nella sua vita.
Ho avuto l’occasione di scambiare due chiacchiere con lei sui suoi trasferimenti, le lingue, la gestione di un brand nei panni di donna creativa, nonché sulle tendenze del design e i cambiamenti nel settore.
La tua nuova carriera è iniziata con il trasferimento in un nuovo Paese. Trasferirsi all’estero per lavoro è una scelta coraggiosa ed ammirevole. Da dove tiri fuori il coraggio e la determinazione?
“Dalla paura. La paura di abituarmi allo status quo a tal punto da rifiutare il cambiamento. La paura di non essere più rilevante. La paura di non poter migliorare, apprendere qualcosa di nuovo e rimanere bloccata. A quanto pare svolgere lo stesso lavoro per 5 anni è il massimo che io possa sopportare per le seguenti ragioni: avverto la necessità di un cambiamento e desidero fare qualcosa di entusiasmante che mi permetta di evolvere sia come creativa che come essere umano. Ho amato tutti i miei lavori precedenti, ma ho dovuto separarmene per impormi di fare nuove esperienze. È chiaro che ciò sta diventando sempre più difficile da quando è coinvolta una famiglia”.
All’inizio della tua carriera, era importante conoscere bene i metodi di stampa e produzione. Quest’aspetto è cambiato drasticamente negli ultimi anni. Come pensi che la digitalizzazione aiuti il design odierno, e quali ritieni che siano gli svantaggi?
“Sì, ci sono stati diversi cambiamenti nel settore. Ovviamente gli strumenti a nostra disposizione sono migliorati tantissimo e i media per i quali sviluppiamo i progetti di design non esistevano prima. Quando ho iniziato si impiegavano giorni, persino settimane per redigere una presentazione che spesso includeva veri e propri prototipi. Ora è una questione di ore: basta inserire le tue idee in un template, effettuare alcuni rendering e creare una presentazione avvincente. In teoria una sola persona avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, dall’ideazione alla progettazione, fino all’organizzazione dei file di stampa, ma in quel processo c’era una falla: quando ad esempio si stampano e si testano le proprie idee a mano (per progetti offline), è possibile che capitino errori fortuiti i quali a loro volta possono portare a idee diverse perché le si guarda letteralmente da un’altra angolazione; si progetta e realizza un prototipo allo stesso tempo, facendoti risparmiare tempo perché lo hai testato prima di presentarlo. Inoltre ci concentravamo su meno cose (perché ci mettevamo tantissimo tempo a metterle insieme). Ho notato che i giovani designer riscontrano difficoltà a editare i propri progetti, il che è comprensibile nel momento in cui puoi creare un volume ingente di lavoro in talmente poco tempo da rimanere sopraffatto dalla quantità, dalle scelte e dalle infinite possibilità”.
Avendo assunto posizioni di leadership sin da subito, hai riscontrato maggiori difficoltà, soprattutto come donna? Inoltre ritieni che i giovani aspiranti designer siano più agevolati rispetto a 10 anni fa?
“Il mio primo ruolo da leader l’ho avuto quando sono approdata al MoMA, ed è stata subito una sfida. Quando mi sono trasferita negli Stati Uniti, mi sono sempre sentita un po’ più grande dei miei coetanei, più matura per certi versi. Ma arrivata al MoMA, mi sono improvvisamente trovata ad essere una delle più giovani. L’età media del museo supera leggermente quella degli studi o delle agenzie di design. Essendo poi un’istituzione così affermata, avere qualche anno in più mi avrebbe probabilmente conferito più autorità, quindi ho dovuto rimboccarmi le maniche e mettermi in gioco attraverso il mio lavoro.
Non ho mai avuto problemi nell’essere “una” leader in quanto ho avuto boss donne molto in gamba e sono stata formata da donne straordinarie, tra queste Paula Scher, senza dubbio la migliore! Per quanto riguarda l’essere una donna in una posizione di rilievo, posso dire che la dirigenza dei luoghi in cui ho lavorato è stata sempre composta da uomini fino a quando ho messo piede in Etsy. Non ho mai considerato l’essere donna come uno svantaggio, ma piuttosto come un’opportunità per lottare e rappresentare la categoria femminile (immagino che crescere con 3 fratelli ed essere l’unica femmina mi abbia dato un vantaggio competitivo in questo caso)”.
Essere giovani e detenere una posizione di leadership è un argomento diverso. Per essere un bravo designer l’età non conta, ma per essere un buon leader l’età e l’esperienza aiutano molto, e questo non puoi ottenerlo dal duro lavoro solitario, bensì dagli anni trascorsi a lavorare in contesti diversi, lavorare e imparare da persone diverse. Dopotutto, sei responsabile dell’azienda ma anche delle persone. Non si nasce necessariamente leader, né è un talento innato; si acquisisce leadership semplicemente attraverso le esperienze. Leggere un libro sulla leadership ti condurrà solo a metà strada. Non è un corso a cui ti iscrivi all’accademia d’arte. Quando mi è stata offerta l’opportunità di gestire un grande team al MoMA, ho dovuto rimboccarmi le maniche e fare pratica sul lavoro. Probabilmente l’ho presa troppo sul serio, ma ero molto motivata e intenzionata a fare da portavoce per quel team, nonché assicurarmi che il design venisse sempre preso seriamente tra le file senior.
Ma ciò che mi ha aiutato in seguito è essere diventata mamma! Dopo tre figli, ho imparato ad affrontare crisi e drammi!”. (Ride)
La fondazione di EF risale agli anni ’60 e il logo è stato progettato da Paul Rand; in qualità di nuovo Creative Director, che influenza eserciterai sul marchio e quali sono i tuoi piani?
“Abbiamo appena dato una rinfrescata al brand, nonostante io sia subentrata solo nell’ultima fase, un mese prima del lancio. Il logo non cambierà e in generale è troppo presto per dire come implementeremo i cambiamenti a livello globale. Rispetto molto il design di Paul Rand e sento che potremmo divertirci molto anche senza modificare il logo. In passato è stato utilizzato male, messo in disparte, piccolo… da qui il motivo del suo aspetto così “corporate”. C’è sempre qualcuno a cui non piace il logo, ma il logo non è il brand. Dobbiamo farlo nostro e lavorarci sopra, rivedendo il modo in cui lo utilizziamo e applichiamo.
Al MoMA, ad esempio, abbiamo rovesciato il logo su un lato e lo abbiamo ingrandito a tal punto da diventare un insieme di forme grafiche, uno strumento utile con cui sperimentare, un punto di riferimento per pagine e materiali illustrativi. In Etsy, invece, il logo è stato praticamente ignorato, essendo più che altro un marchio denominativo. Ciò che abbiamo fatto, però, è stato realizzarvi un design attorno. Non era importante quanto l’intera esperienza del prodotto. Ci sono tantissimi modi divertenti di progettare un logo, il quale poi incarna l’identità del brand”.
Da tedesca a New York, hai parlato e studiato in inglese. In che modo ritieni che la lingua influenzi il design e l’arte? E in che lingua realizzi i tuoi design nel momento in cui prendono forma nella tua mente?
“La lingua ha esercitato un’enorme influenza sia su di me che sulla mia carriera, ecco perché la posizione in EF mi ha particolarmente attratto. Adoro trovarmi in situazioni stimolanti perché è lì che esprimi la tua vera personalità. Parlo fluentemente due lingue ed è come se avessi due personalità distinte perché non sono bilingue dalla nascita. Ho imparato l’inglese da adolescente. I miei figli sono cresciuti in un ambiente trilingue, e spesso mi domando come ciò influenzerà le loro esperienze quando cresceranno.
Ora che sono in EF, dove la lingua, i viaggi e l’insegnamento rappresentano il core business dell’azienda, tutto sta nell’abbattere i confini e creare empatia. La lingua può trasmettere una cultura e questi valori mi rappresentano.
Crescendo, mi rendevo conto di essere negata per le lingue, sia per il tedesco, mia lingua madre, che l’inglese; mi esprimevo in un modo davvero impacciato. Ma con il design sono stata finalmente in grado di esprimere idee per le quali non era necessario usare parole, le persone le avrebbero comprese senza che io dovessi spiegarle. Provavo una sensazione molto gratificante e mi dava una forza che mi era sempre mancata. Il design e l’arte sono forme di comunicazione in grado di esprimere concetti più profondi rispetto alle sole parole, comunicando a tutti i livelli.
Quando realizzo dei design, in tutti i miei progetti utilizzo la lingua inglese. È difficile progettare in tedesco perché il linguaggio mi sembra troppo formale e le parole sono troppo lunghe, cosa che, ad esempio, complicherebbe la progettazione di un poster. In inglese si può essere più concisi utilizzando parole più brevi. È anche una questione culturale: i tedeschi preferiscono design più moderati, mentre negli Stati Uniti puoi essere più casual e osare di più.
Personalmente realizzo i miei concept in inglese, essendo questa la lingua in cui ho imparato a fare il mio lavoro e con cui ho sempre interagito con i miei colleghi, tutti di madrelingua inglese. Pensa che per alcuni termini di design non conosco nemmeno gli equivalenti in tedesco”.
Quale tendenza nel mondo del design ti ha colpito di più negli ultimi 5 anni o come pensi che la scena sia cambiata, soprattutto da quando tutto è diventato sempre più digitale?
“In generale, ciò che mi affascina di più delle tendenze è la loro capacità di mostrare dove siamo arrivati come persone. Riesci ad avvertire lo stato d’animo generale della gente. Esiste una correlazione tra le tendenze nel design e ciò che accade nel mondo.
Ma negli ultimi anni ho assistito ad alcune tendenze che mi hanno particolarmente infastidito. In primis, la “start-up design”: tutti questi colori pastello e marchi in sans serif non hanno fatto altro che privare le aziende della possibilità di diversificarsi. Questo, oltre al test A/B, ha reso le nuove aziende molto simili tra loro in quanto i loro utenti spesso si sovrappongono. Un’altra mia ipotesi è che attualmente vi siano molti designer di prodotti sulla scena, ma in quanto a progettazione di marchi, non sono i migliori. Sono bravi a progettare e testare il prodotto, ma non dedicano molto tempo a un logo o agli elementi duraturi del marchio perché non sono misurabili all’istante.
Sembra che molte start-up abbiano gli stessi dati e utilizzino gli stessi template di design, il che ha anche senso quando si è agli inizi. Forse sono io all’antica, ma il design dovrebbe essere adattato al soggetto e risultare atemporale. Non si può di certo riprogettare il brand ogni 2 anni! Un buon design dura dai 3 ai 7 anni almeno”.
Quanto è importante per i singoli designer, ma anche per i brand, interagire con i social network?
“È molto importante ed è un ottimo modo, oltre che economico, per far conoscere te e il tuo lavoro, oppure il tuo marchio e prodotti annessi. Oggigiorno sono quasi meglio di un sito web (che non hai mai il tempo di aggiornare) in quanto molto istantanei e immediati”.
Hai inaugurato il capitolo berlinese di “Ladies, Wine & Design”. Cosa ti ha spinto a farlo? Pensi di replicare a Lucerna?
“Esatto, e ad esser sincera, l’ho fatto principalmente per egoismo. Ero nuova in città e volevo conoscere persone, incontrare più designer nell’ufficio di Etsy per fare rete e avere un quadro più chiaro della scena del design locale. In Germania non c’erano molte opportunità di networking come a New York, così quando Jessica Walsh diede inizio a questa iniziativa a New York chiedendo di espanderla in tutto il mondo, ho colto l’occasione al volo.
Forse ne farò uno qui a Lucerna, ma a breve inaugurerò un capitolo a Zurigo a cui credo farà seguito un periodo di pausa, d’altronde mi sono trasferita qui solo pochi mesi fa. Ad ogni modo Ladies, Wine & Design è un’ottima iniziativa con cui le designer possono conoscersi e fare networking“.
Cosa ti ispira e come trai ispirazione?
“Onestamente ho sempre paura di questa domanda perché non ho mai una risposta pronta da dare. Come consiglio direi di pensare fuori dagli schemi, sperimentare qualcosa di completamente diverso, sfidare se stessi. Oppure di andare semplicemente in un bar con blocco alla mano. E mi raccomando, lasciate il cellulare a casa se non volete dire addio all’ispirazione”.