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Secondo le definizioni più comuni e diffuse di Intelligenza Artificiale (per esempio, quella di Marco Somalvico riportata da Wikipedia), con il termine intendiamo:
Una disciplina [aggiungo io, un vero e proprio paradigma] appartenente all’informatica che studia la teoria, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi (hardware e software) capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore umano comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza delle persone.
Una tipica “prova del nove” per testare una Intelligenza Artificiale (a cui mi riferirò nel corso dell’articolo anche attraverso l’appellativo AI – acronimo di Artificial Intelligence) è sottoporre l’output della macchina a un essere umano: se quest’ultimo lo etichetta come artefatto umano, siamo nell’ambito delle AI.
La pervasività delle macchine nella vita quotidiana
Che oggi viviamo in un mondo sempre più scandito nel ritmo dalle Intelligenze Artificiali e dagli algoritmi che ne caratterizzano le fondamenta, è ormai palese a tutti. All’interno della sua opera “The Master Algorithm. How the Quest for the Ultimate Learning Machine Will Remake Our World”, Pedro Domingos riassume bene la nostra giornata quotidiana nell’era delle AI:
La radiosveglia scatta alle 7 del mattino, con una canzone che non avete mai sentito ma che vi piace davvero tanto. Grazie a Pandora, l’algoritmo che impara i vostri gusti musicali, è come se aveste un deejay personale. […]. Mentre fate colazione leggete il giornale: il sistema di stampa è calibrato attentamente con un algoritmo di apprendimento per evitare le striature di inchiostro. In casa la temperatura è perfetta, da quando avete installato un termostato intelligente Nest la bolletta è calata sensibilmente. State guidando, diretti/e al lavoro. […]. Per ridurre il tempo speso al volante (e lo stress) nelle ore di punta, utilizzate INRIX, un sistema di predizione del traffico.
Cosimo Accoto, un ex collega illuminato ora al MIT di Boston e Autore per EGEA del libro “Il Mondo Dato. Cinque Brevi Lezioni di Filosofia Digitale”, parla a proposito di algo-rhytm, intendendo con questo gioco di parole un mondo dove:
[gli algoritmi] non sono più solo strumenti per svolgere un compito, ma diventano una componente […] che abilita al design automatizzato delle nostre esperienze.
Economia algoritmica, business algoritmico, società algoritmica, vita algoritmica: oggi, gli algoritmi scandiscono il ritmo del reale.
Le Macchine al lavoro, nella Comunicazione
Se quindi AI e algoritmi sono ormai un “cappello” onnipresente nel quotidiano, andando a caratterizzare un numero crescente di nostre interazioni (sociali, di business, etc.), quali riflessioni è possibile fare in relazione al rapporto tra Intelligenza Artificiale e Comunicazione?
Generalmente, si pensa alla comunicazione come a qualcosa di tipico dell’emisfero destro del nostro cervello. Secondo le analisi care alla specializzazione emisferica, si tratta dell’emisfero dell’istinto, dei sogni, del pensiero olistico. Nulla a che vedere, sempre nell’immaginario collettivo, alla macchina e alle entità artificiali, così fredde e calcolatrici. Non a caso, uno dei primi modi di chiamare il computer è “calcolatore”.
Ma i progressi dell’AI e del machine learning (un metodo che consente alle macchine di trovare intuizioni nascoste senza essere esplicitamente programmate per “sapere dove guardare”) spingono sempre più a porsi una domanda importante.
Le macchine possono essere creative?
La domanda, posta così, è certamente retorica e porta a un’unica risposta (negativa). Ma provo ad affrontarla da una prospettiva parallela, citando un recente studio di McKinsey relativo al rapporto tra AI, Creatività e Storytelling – l’arte del raccontare umana per eccellenza.
Tale studio è stato svolto grazie a una collaborazione tra il MIT Media Lab e il team di ricerca McKinsey Tech & Media. Provo a riassumerlo in poche righe:
- i modelli di machine learning costruiti per l’analisi hanno analizzato migliaia di video, mappando gli emotional arcs (ovvero, i percorsi emotivi esperiti dai protagonisti durante le scene);
- le varie storie mappate sono state raggruppate in funzione dell’emotional arc – della “traiettoria emotiva – più tipico;
- sono stati correlati i gruppi di video in funzione dell’emotional arc con le reazioni delle audience su Twitter e altri social media;
- tali reazioni sono infine state analizzate non solo da un punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, al fine di capirne fattezza ed entità.
Il risultato? Alcuni emotional arc sono risultati più efficaci per suscitare specifici feedback da parte delle persone che hanno visualizzato i video caratterizzati da tali pattern emotivi.
Cosa possiamo evincere in generale da questo studio? Certamente, il ruolo centrale dell’AI a fianco del creativo – almeno da un punto di vista dell’analisi dei plot e della progettazione della struttura narrativa di qualsiasi comunicazione – testuale ma anche grafica / visual.
L’Intelligenza Artificiale oggi è effettivamente sempre più impiegata a fianco del creativo. Ti rimando al mio recente pezzo sul blog di Pixartprinting “Tre Trend (e Tecnologie) che Stimoleranno la Creatività Digitale nel 2018” per alcuni stimoli aggiuntivi. In questo articolo, cito il caso degli AI-generated Content. Oggi i bot riescono anche a creare contenuti – e sono già utilizzati per tale scopo. Questo grazie alla loro capacità di fare ordine dal caos – ovvero, dalla grande mole di dati che governano le nostre vite. Associated Press utilizza gli algoritmi sin dal 2014, così come Yahoo!, Forbes e tanti altri media (ma non solo). Quando fruiamo i contenuti proposti non ce ne accorgiamo, ma è così.
Tale tecnologia sta diventando tra l’altro democratica, alla portata di tutti. A proposito, è interessante a mio avviso la mission dell’AI Content Creator Articoloo:
La nostra tecnologia genera contenuto originale, corretto e di alta qualità da zero, simulando un essere umano.
Hai capito bene: il tool Articoloo simula il lavoro di un copywriter, facendolo fare a una macchina. Per ora i risultati sono modesti (a fronte comunque di un costo contenuto di pochi dollari), ma cosa succederà nell’immediato futuro, quale è la traiettoria evolutiva delle macchine? In un LinkedIn Pulse, Giorgio Barbetta (ICT Engineering Coordination in UniCredit) suggerisce 2 risposte di scenari che riporto all’argomento del pezzo:
- Risposta 1: si fermeranno dove noi abbiamo programmato si fermino.
- Risposta 2: non lo sappiamo dove si fermeranno perché il processo è appoggiato anche a reti non supervisionate con sistemi ad altissima efficienza (machine learning o deep learning based), ciao peppina!
NB: “ciao peppina” non l’ho aggiunto io: è farina del suo sacco. 🙂
Conclusioni: la sfida dell’Empatia
Una soluzione alla dialettica macchina – persone (a favore delle seconde) in tema di creatività e comunicazione viene da alcuni studi di comunicazione finanziaria, secondo cui l’empatia – ovvero, la capacità di creare vicinanza percepita e intimità con l’interlocutore – è un moltiplicatore di valore economico in quanto genera fidelizzazione e interazioni più efficaci.
L’empatia è una variabile tipicamente e profondamente umana, un “pezzo di creatività” indispensabile per renderla rilevante indipendentemente dall’artefatto finale (un visual, un testo, …). E sembra proprio che l’empatia “ci salverà” dall’avvento delle macchine. Almeno come Creativi e Comunicatori. Almeno, fin quando non addestreremo le Intelligenze Artificiali a imparare l’empatia, per poi applicarla al nostro posto (o magari con / verso di noi).
La sfida, e le domande, sono aperte: mi farebbe piacere sentire la tua opinione di grafico, designer, (digital) copywriter a riguardo.