I font di David Lynch

I font di David Lynch

Giovanni Blandino Pubblicato il 5/10/2021

Tranquille e ordinarie cittadine americane nascondono misteri inquietanti, mentre sotto l’apparente serenità divampa un incendio di pulsioni e di desideri – è questo ciò che sembra ricordarci ogni film di David Lynch, regista celebre per la serie TV cult Twin Peaks e per le sue opere oniriche, angoscianti e fuori dall’ordinario.

Chi ha visto Twin Peaks potrà difficilmente dimenticare il sapore ambiguo e angosciante che hanno i titoli di testa degli episodi. Da qui ci siamo chiesti: in che modo le scelte tipografiche hanno influenzato le altre opere di David Lynch? Dal fantascientifico Dune all’onirico Mulholland Drive, passando per Velluto Blu e il grottesco Eraserhead… ecco qualche curiosità sui lettering e font scelti di volta in volta dal regista del mistero!

Eraserhead – La mente che cancella

Eraserhead, il primo lungometraggio di David Lynch uscito nel 1977 dopo sei anni di lavorazione, è un grottesco capolavoro in bianco e nero ed è ormai diventato un cult. Potrebbe anche essere una normale opera in cui il regista racconta le preoccupazioni di un uomo per la nascita di un figlio al di fuori di una stabile relazione, ma il regista in questione è David Lynch quindi nel film il neonato invece di essere un normale bambino è un orrido esserino mutante che emette versi inquietanti (voci di corridoio dicono che Lynch abbia usato un coniglio o un feto di un vitello per realizzare l’orrenda creatura).

Anche le scelte tipografiche per i titoli di testa rispecchiano questa strana prospettiva gotica con cui è narrata tutta la vicenda. Il titolo appare bianco calce su nero, ricalcando la tradizione dei film horror di inizio Novecento. Lynch sceglie qui di usare il più ordinario dei caratteri, ma lo modifica allungando verticalmente le lettere. Basta questo piccolo tocco per dare al titolo il giusto senso di straniamento che contraddistingue il resto del film.

Immagine: http://annyas.com/

Il comunissimo carattere tipografico in questione è il Times New Roman, nella sua versione condensata: si tratta di uno dei font più diffusi al mondo, anche perché è stato a lungo il carattere standard di Microsoft Office. Già dalla sua nascita il carattere fu pensato per avere una perfetta leggibilità – fu infatti progettato dal tipografo Stanley Morison per la testata londinese del Times che iniziò ad usarlo nel 1932. L’anno successivo il font sarà reso disponibile commercialmente al pubblico, dando così il via alla sua larga diffusione.

Velluto blu

Meglio conosciuto con il titolo originale Blue Velvet – omaggio alla nota canzone di Bobby Vinton – il film del 1986 è una delle tante variazioni all’interno delle tematiche preferite da David Lynch: l’ambigua e apparentemente serena vita borghese di provincia che nasconde un sottosuolo di eros, violenza e desiderio.

Questo lato idilliaco della società e della nostra psiche si incarna nella pellicola nelle ordinate casette con giardino, nella cordialità eccessiva, nei saluti e nei sorrisi dei vicini. E, anche, nel carattere tipografico utilizzato per il titolo di testa.

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I titoli di testa appaiono sopra uno sfondo di morbido velluto blu in Snell Roundhand, un font classico ed estremamente elegante con svolazzi molto accentuati. Probabilmente Lynch non ne era a conoscenza, ma curiosamente anche la storia di questo carattere tipografico ci svela una certa ambiguità. La base dello Snell Roundhand è un corsivo inglese creato dal maestro calligrafo Charles Snell che nel Seicento voleva ispirarsi agli ideali puritani, ma allo stesso tempo avere un lettering efficace ed essenziale utilizzabile dalla rampante borghesia inglese dell’epoca. Fu però solo nel 1965 che lo Snell Roundhand diventò un vero e proprio carattere tipografico grazie a Matthew Carter che riuscì a svilupparlo a partire dal corsivo inglese di Snell grazie agli ultimi avanzamenti tecnici nella fotocomposizione.

Twin Peaks

Twin Peaks. Basta questo nome perché molti di noi sentano uno strano brivido percorrere la propria schiena.

Il primo episodio della serie cult creata da David Lynch insieme a Mark Frost andò in onda negli Stati Uniti nell’aprile del 1990. Nella sigla due elementi sono indimenticabili: la colonna sonora di Angelo Badalamenti e il lettering del titolo. Entrambi gli elementi hanno caratteristiche simili accentuate dalle quotidiane immagini nello sfondo: c’è qualcosa di tranquillo e familiare in questi due elementi, ma c’è anche qualcosa di profondamente straniante.

Il font utilizzato per il titolo è l’ICT Avant Garde Gothic – realizzato negli anni Sessanta per il titolo della rivista di design e grafica Avant Garde e successivamente sviluppato dal lettering designer Tom Carnase. È un font estremamente geometrico che possiamo vedere in contesti molto più “rilassanti” tra cui nel logo dell’Adidas. Nel titolo di Twin Peaks però sono il marrone della scritta e l’outline verde acido che mettono in crisi tutta la serenità che il font potrebbe infondere.

Dune

Dune è il film che più si discosta dal resto della produzione di David Lynch. Uscito nel dicembre del 1984, è la trasposizione cinematografica della visionaria opera fantascientifica di Frank Herbert, costò moltissimo al suo produttore Dino De Laurentiis e finì per essere il film di Lynch meno amato dal suo pubblico e dai critici che lo stroncarono senza troppi giri di parole.

Effettivamente è un film molto strano e a volte incomprensibile, tuttavia per quanto riguarda i titoli di testa le scelte tipografiche sono questa volta meno peculiari rispetto ad altri film.

Immagine: http://annyas.com/

Ad occuparsene fu Robert Schaefer – che aveva lavorato per i titoli dei Flintstones e di altri cartoni animati dello studio Hanna-Barbera – e il carattere tipografico è l’Albertus. Si tratta di un font austero, leggermente graziato che si adatta alla perfezione all’atmosfera aliena ricreata da Lynch per il pianeta Dune. Fu disegnato dal tedesco Berthold Wolpe nel 1932 che lo intitolò al filosofo e teologo del Duecento Alberto Magno. Wolpe era un incisore di metalli e volle creare un font che facesse pensare a delle lettere scolpite nel bronzo.

L’Albertus oggi è usato per indicare i nomi delle vie di Londra, mentre nel mondo del cinema è famoso per essere una delle ossessioni tipografiche del regista John Carpenter che lo ha usato estensivamente nei suoi film.

Mulholland Drive

Forse il più conosciuto lungometraggio di David Lynch, Mulholland Drive è uscito nel 2001 ed è un destabilizzante viaggio nel mondo di Hollywood e nella psiche di una giovane aspirante attrice.

Anche in questo caso, come già notato da qualcuno, il carattere tipografico dei titoli di testa presenta allo spettatore qualcosa di familiare, consono e ordinario – qualcosa che nel corso del film verrà completamente rivoltato. Il lettering usato per i titoli è infatti quello della celebre scritta “Hollywood” che campeggia sopra le colline di Los Angeles. È proprio il patinato mondo di Hollywood che il film rivelerà nei suoi misteri e pulsioni più nascoste.

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Ma a chi ne conosce a fondo la storia, anche la gigante scritta che si affaccia sul quartiere del cinema suggerisce già qualcosa di disturbante. Le enormi lettere – sono alte 15 metri e larghe 9 metri – furono erette nel 1923 per pubblicizzare una serie di lotti in edificazione nelle dolci colline lontane dalla città. “Hollywoodland” (la scritta fu accorciata successivamente) era un quartiere dove poter vivere serenamente, a pochi passi dalla città. Qualche anno dopo l’area divenne famosa in tutto il mondo per la sua industria cinematografica, le luci della ribalta e il sogno di diventare delle star – così si decise di non smantellare più la scritta simbolo del quartiere.

Abbiamo visto dunque come ci sia qualcosa di angosciante anche nelle scelte tipografiche che accompagnano gran parte dei film di David Lynch. Ci sono spesso font ordinari ed estremamente diffusi, come il Times New Roman e l’Avant Garde Gothic, e lettering familiari come quello della scritta di Hollywood. Sempre c’è, però, anche qualcos’altro – un colore stonato, una impercettibile modifica – che ci suggerisce come l’apparente serenità che dovrebbe infondere il titolo abbia in realtà i minuti contati.