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New York, una città da amare
New York, 1976. Il nostro viaggio nel city branding non può che iniziare da qui. Il celebre logo “I ❤ NY” è uno tra i primi nati con l’obiettivo dichiarato di promuovere l’identità di una città anche verso il pubblico dei turisti, e di certo è ancora oggi il più noto e iconico tra tutti. Pare che la gestazione del progetto grafico sia più complessa e ingarbugliata di quanto generalmente si racconti. Quello che è certo è che la forma finale si deve al graphic designer Milton Glaser, incaricato dall’agenzia pubblicitaria Wells Rich Greene su commissione del New York State Department of Economic Development.
In quegli anni la fama di New York non era alle stelle: considerata caotica, pericolosa, grigia e inquinata, aveva bisogno di ritrovare un’identità forte, spendibile sul mercato e attraente per i turisti. Sul piano grafico è forse opportuno notare che la semplicità che contraddistingue il celeberrimo logo è solo apparente: nella realtà possiamo individuare ben tre linguaggi differenti, condensati in una sola identità visiva.
I tre linguaggi di I ❤ NY:
• “I” in inglese è una vera e propria parola, che naturalmente significa io.
• Il cuore è un simbolo grafico, utilizzato in luogo del verbo love con una modalità che anticipa di molte decadi il nostro abituale uso di emoji.
• N e Y sono le iniziali della città: non vere e proprie parole, quindi, ma un acronimo.
Una parola, un pittogramma, un acronimo: è forse anche grazie alla potenza di questa sintesi, che il logo è diventato una vera icona mondiale, riconosciuta, amata, imitata in ogni angolo del pianeta.
Pare sia incalcolabile l’apporto di questo logo alla causa della città: da semplice segno grafico a vera e propria branding image, “I ❤ NY” non ha solo contribuito a migliorare l’immagine della città agli occhi degli stranieri, ma ha generato anche un vero e proprio spirito di appartenenza, un’anima, un’idea simbolica sotto cui riunirsi, un orgoglio che ha toccato il cuore di tutti i cittadini.
E dal momento che il suo apporto vale sia per il pubblico dei visitatori, sia per quello degli abitanti, possiamo annoverare il logo come un esempio efficace di city branding.
È Bologna. La libertà di avere mille identità
“È Bologna è il primo logo co-generativo di una città, nato con l’obiettivo di tradurre visivamente le infinite sfaccettature e le percezioni che definiscono che cosa è Bologna” si legge nella presentazione di questo interessante progetto di city branding, che trova una sintesi tra la grafica e le potenzialità del digitale, non sempre facile da scorgere altrove.
In questa bella conferenza al TEDXBologna, il responsabile del city branding Roberto Grandi racconta la genesi e inquadra gli obiettivi del progetto, nato dopo un lungo processo di ricerca che ha comportato anche il ricorso ai big data. Dalle analisi emergeva un’idea di città libera, multisfaccettata, fruibile dai turisti in una grande quantità di percorsi diversi, tutti ugualmente interessanti. È nata così l’idea di un logo che condensasse la complessità, senza ridurla: un logo che, attraverso la tecnologia digitale, può diventare infiniti loghi.
Di cosa si tratta, in estrema sintesi? Più che di un vero e proprio marchio, possiamo parlare di un alfabeto visivo digitale, realizzato a partire da 5 elementi grafici tratti dalle decorazioni storiche della città. Con questo alfabeto chiunque può scrivere personali “parole visive”, rappresentative del proprio modo di vivere la città: Cibo è Bologna, Cultura è Bologna, Bellezza è Bologna e così via.
Non più un logo che impone un’identità fissa al turista e al cittadino, ma una soluzione che integra sintesi grafica, tecnologa e interattività per dare la possibilità a ognuno di noi di creare un proprio logo, in base alla personale modalità di fruire la città. Il progetto si deve a Michele Bartoli e Antonio Pastore, vincitori di un contest internazionale che la città indisse espressamente allo scopo di ridisegnare la propria identità.
Viaggio a Porto, in un mosaico di contemporaneità e tradizione
Se da Bologna ci spostiamo a Porto, ci imbattiamo in un’idea per certi versi simile, per altri molto differente. Anche in questo caso più che di un vero e proprio logo, possiamo parlare di un progetto di city branding sviluppato attraverso la creazione di un albabeto grafico: un segno riconoscibile con cui vengono tracciate tutte le anime della città.
Qui però il punto di partenza è molto diverso rispetto a quello che caratterizza l’identità bolognese: l’albafebeto grafico con cui vengono disegnati i pittogrammi è originato dai tipici decori che apparivano sulle Azulejos, ovvero le antiche mattonelle portoghesi che caratterizzano il paesaggio cittadino e vengono da sempre considerate parte integrante della narrazione della città.
Il progetto di city branding della città di Porto dà vita a un mosaico grafico, interessante perché sintetizza storia e contemporaneità in modo sorprendente, intuitivo e versatile: tutte le qualità della città possono essere rappresentate, mantenendo però una coerenza stilistica inequivocabile. Dalla storia al futuro, dal mare al cibo, dalla cultura all’innovazione: tutto questo è l’anima di Porto, ben comunicata in un progetto di city branding particolarmente riuscito.
Un’identità flessibile e declinabile: il city branding di Melbourne
Siamo quasi al termine del nostro viaggio e ci regaliamo un volo intercontinentale per raggiungere l’Australia. È all’agenzia Landor di Sidney che si deve il merito di aver progettato l’identità visiva di Melbourne. In questo caso la complessità era dovuta al fatto che la cittadina australiana si trovava ad avere un gran numero di loghi piuttosto diversi tra loro, per comunicare i più disparati servizi ai cittadini e ai turisti: un caso tipico, in cui non è difficile imbattersi in molte città italiane.
Il risultato era un insieme di segni incoerenti, che non riusciva a comunicare una personalità unica e sintetizzabile né ai cittadini né ai turisti. A Melbourne mancava un’anima.
Il problema è stato brillantemente risolto con un sistema modulare di loghi, che in questo caso si fonda sulla lettera M. La “M” assume diverse colorazioni e igloba differenti pattern per racontare i molteplici aspetti della città, senza più perdere coerenza visiva e narativa. Come nel caso di Bologna e di Porto, anche con l’esempio di Melbourne si supera il concetto di identità condensata in un logo, per evolverlo in un progetto con un orizzonte più ampio ed efficiente.
City branding: oltre il concetto di logo
In chiusura del nostro viaggio può essere produttivo identificare un buon principio progettuale, utile a chi si misurerà a diverso titolo con questo tipo di attività. Come abbiamo visto attraverso la rassegna di esempi proposti, i risultati migliori in termini di city branding sembrano emergere quando non ci si limita alla realizzazione di un marchio o di un logo, ma si tenta una sintesi che non rinneghi la complessità.
Partendo da segni che traggono origine dalla storia della città, dal paesaggio naturale e dal contesto urbano, possiamo costruire un vero e proprio corporate image system, ovvero un sistema visivo modulare che riesca a comunicare lo spirito del territorio, declinandolo con coerenza su ogni singolo aspetto della città.