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Ci avevano avvertito, ed effettivamente sta succedendo.
La pandemia ha modificato con la forza alcune nostre abitudini – come persone e come consumatori – e da professionisti di marketing, business e comunicazione non possiamo fare finta di nulla. Tali cambiamenti, in effetti, permarranno nel tempo e devono quindi entrare nel mindset e nei piani di crescita.
Dunque è fondamentale attrezzarci per cavalcare il cambiamento: in questo articolo provo a spiegarti come, attraverso una lista di consigli e linee guida che credo e spero saranno utili a intercettare nel modo giusto – ovvero rilevante, consistente, “a prova di New Normal” – clienti e prospect.
Qualcosa è cambiato
Quante volte, in questi mesi, hai pensato qualcosa come: “ma quando possiamo tornare alla vera normalità, dimenticandoci di tutto questo?”?
Il mitico Marketoonist, all’anagrafe Tom Fishburne, ci ha addirittura dedicato un’immagine piuttosto esplicativa in uno dei suoi più recenti fumetti – back to normal, appunto 🙂
La vignetta fa sorridere, ma racconta una grande verità: tra call, incontri online, impossibilità di lavorare a pieno regime, cambiamenti repentini che osserviamo nei nostri clienti e le altre variabili impazzite che hanno rivoluzionato quest’ultimo biennio, le abbiamo vissute tutte. E, con ogni probabilità, dovremo essere bravi a continuare così. Ovvero a vivere e lavorare in uno scenario di limbo, di purgatorio (con sprazzi di paradiso, ma anche più infernali). Non mi è mai piaciuta molto la parola resilienza, così abusata e maltrattata: ma mai come adesso torna vivida in mente.
Cinque traiettorie per il New Normal Business
Lo chiamo New Normal Business: non è molto creativo, lo so, ma penso renda bene l’idea. L’idea di continuare a trarre il meglio dalla situazione, qualunque essa sia.
Per farlo, ho ipotizzato cinque linee di consigli e parole che potrai trovare utili e preziose per continuare a interagire al meglio con i clienti e a produrre valore per la tua azienda.
1. Small Data
Si parla tanto di Big Data, una vera e propria buzzword per intendere la grande mole di dati destrutturati che sta intorno a noi e che contribuiamo a produrre senza soluzione di continuità. Sono disponibili in enormi volumi, si presentano con formati destrutturati e sono spesso prodotti a grandissima velocità: i fattori che li identificano sono dunque in primis Volume, Variety, Velocity (volume, varietà e velocità) – caratteristiche che non a caso compongono le 3V dei Big Data.
Le 3V sono al tempo stesso la caratteristica principale e il tallone d’Achille dei Big Data: proprio per l’enorme volume, l’ampia varietà e l’elevata velocità, in effetti, essi sono “maneggiabili” e governabili il più delle volte solo da business complessi, su scala globale e strutturati.
Cosa succede invece per le micro, piccole e medie imprese? Siamo costretti a rincorrere, oppure possiamo anche noi attrezzarci? A proposito, una seconda parola che sta prendendo piede è quella degli Small Data.
I piccoli dati sono dati sufficientemente “piccoli” per la comprensione umana. Sono dati in un volume e in un formato che li rendono accessibili, informativi e utilizzabili. Il termine “big data” riguarda le macchine e “small data” riguarda le persone.
Gli Small Data sono le recensioni di TripAdvisor, i commenti su Facebook, la possibilità di trovare nuove tendenze da portare all’interno della tua attività grazie a Google Trends o Pinterest Trends (utilissimo per anticipare l’innovazione analizzando i contenuti visivi pubblicati sul social network, ma disponibile per adesso solo sui mercati statunitense, canadese e inglese). Abbiamo un mondo di dati a disposizione, senza scomodare Data Scientist o altri specialisti. Usali, per la tua comunicazione data-driven!
2. Data-Driven Mindset
A proposito di data-driven, ecco un punto molto importante tanto da dedicarci un paragrafo. Farsi guidare dal dato (non in modo esclusivo ma parallelamente a quel “pensiero di pancia” – gut feeling – che contraddistingue qualsiasi imprenditore o manager capace) è sempre più importante per guidare l’azienda e comprendere a fondo il cliente.
Le startup innovative fondate su modelli di business digitali e ispirati dal dato, lo sanno bene: per esempio Poke House, che con più di 30 ristoranti aperti e 400 dipendenti aspira a diventare uno dei principali player – magari, Unicorni? – del fuoricasa proprio grazie a questa sinergia vincente.
Nelle parole del co-fondatore Matteo Pichi intervistato da Tech Crunch:
“La pandemia ha messo a dura prova il nostro settore (alimentare) e vediamo la tecnologia come la via da seguire per innovare e digitalizzare l’esperienza del ristorante tradizionale. Stiamo assistendo a un cambiamento nei desideri delle persone riguardo al cibo veloce ma sano. Le ciotole Poke soddisfano questa nuova esigenza e promuovono uno stile di vita più equilibrato, attivo e sostenibile con opzioni alimentari rapide e salutari disponibili nelle vicinanze. I nostri concorrenti sono i concept salutari in rapida crescita come Sweetgreen o Sweetfin negli Stati Uniti. Ma allo stesso tempo, pensiamo di essere fortunati perché siamo davvero uno dei primi brand costruiti al 100% da esperti o ex dipendenti di food delivery. I nostri prossimi concorrenti saranno brand nativi digitali estremamente forti nell’analisi dei dati e nella costruzione del branding a partire proprio dal digitale. Utilizziamo soluzioni di consegna di cibo come piattaforme multimediali e investiamo in modo più importante concorrenti in questo canale.”
Investire dunque in tecnologie e in competenze del dato non è più solo un modo per innovare e stimolare l’effetto WOW sul cliente, quanto piuttosto una leva essenziale per rimanere sul mercato.
Per esempio, ti faccio vedere l’immagine sotto: bella, vero? Non è un’isola colorata, ma si tratta del Marketing Technology Landscape – l’insieme (aggiornato agli ultimi dati disponibili del 2020) delle aziende che propongono soluzioni tecnologiche più e meno avanzate applicabili al marketing aziendale.
Capisci la necessità di correre ai ripari attrezzandosi al più presto…
3. Policanalità
Il dato può fare tanto, ma non tutto. E quando nel marketing parliamo di tutto, non possiamo che fare riferimento a un’altra parola tanto osannata da esperti e professionisti: quella dell’omnicanalità.
L’omni-canalità, passaggio evolutivo della multi-canalità, offre agli utenti un’esperienza integrata e sinergica assicurando uniformità e coerenza.
Ecco. Nel nuovo contesto, e almeno per un po’, non potremo parlare propriamente di omnicanalità.
Ivan Ortenzi, amico e Chief Innovation Officer del Gruppo BIP, in un webinar molto interessante sui modelli di business contactless di cui ti propongo la registrazione ha parlato di policanalità. Ovvero, la possibilità di scegliere solo tra alcuni dei canali attraverso cui interagire con il cliente. E, considerando i tagli di budget, anche la necessità conseguente di focalizzare gli sforzi solo su di essi.
Per esempio, uno dei nuovi canali di vendita è diventato… casa del cliente. Clienti sempre più abituati ad avere tutto a metro zero. In effetti, per via di uno dei tanti “effetti Amazon” che ci hanno abituati troppo bene in pandemia. Così, tanti piccoli e medi business si adattano – dal food, al beauty.
Un futuro sempre più fatto di delivery, se consideriamo anche i concept su cui stanno lavorando alcuni top player di settore: è il caso di Toyota, che con le sue e-Palette aspirano ad arrivare ovunque, per prendere o portare qualsiasi cosa. Non so se ci aspetta un futuro dove il cliente starà comodamente sul divano aspettando i vari provider di prodotti e servizi, ma se tanto mi dà tanto…
4. Direct-to-Consumer (DTC)
Una delle principali retoriche che hanno contraddistinto questi anni di sviluppo esponenziale della rete, è quella della disintermediazione.
Il web è stato presentato come – e in un primo momento, è stato – un “luogo” orizzontale, dove chiunque avrebbe potuto parlare direttamente con chiunque. E poi, sono arrivate le piattaforme 🙂
Amazon, booking.com, e chi più ne ha più ne metta: sono loro oggi i principali intermediari tra noi e i nostri clienti, e diventano sempre più potenti grazie a un business ossessionato dalla raccolta di dati e dalla centralità dell’esperienza del cliente (customer-centricity).
Cosa fare, allora? Sconsiglio di sfidarle direttamente. piuttosto, cerca di ritrovare un rapporto diretto con il cliente anche grazie al digitale. Questo è ciò che fanno i DTC – o direct-to-consumer – brand. Aziende che hanno impostato o re-impostato il proprio modello di servizio attraverso un filo unico e diretto con le persone. Lo ha fatto in modo pioneristico Nike, annunciando nel 2020 il ritiro dei propri prodotti da Amazon per via della frustrazione di vederli comparati a prodotti fake (a minor prezzo, dunque infine più appealing). E sono seguite tante altre realtà, piccole o grandi.
Oggi, la maggior parte delle nuove venture poggia su business model diretti con il cliente, senza alcuna intermediazione. Velasca è una startup che si sta velocemente espandendo in tutto il mondo – da Milano a New York, passando da Londra, Napoli e Parigi – attraverso la disintermediazione. Nasce per rispondere all’esigenza del consumatore amante del lusso di poter calzare un pezzo unico della tradizione artigianale italiana a un prezzo accessibile e ovunque nel mondo attraverso i canali digitali.
Per saperne di più su come riescono a ottenere risultati sorprendenti di anno in anno, puoi ascoltare il podcast-case study prodotto su Shopify.
5. Nostalgia
Dati, policanalità, DTC, e chi più ne ha più ne metta: stiamo dicendo che sono tempi complessi, insomma. E a qualcuno può venire voglia dei good old days.
Detto, fatto: si chiama marketing della nostalgia, e fa leva in modo importante su ricordi, emozioni e sensazioni del tempo che fu – certamente percepito o ricordato come migliore del presente, il più delle volte.
Le emozioni, possono quindi diventare l’asso nella manica che oggi ogni professionista di marketing e comunicazione dovrebbe tirare fuori. McDonald’s lo fa in un semplice tweet:
Un giorno hai ordinato un Happy Meal per l’ultima volta e non sapevi nemmeno che fosse l’ultima volta.
Un’operazione più interessante è quella di Kraft, che per lanciare quattro nuovi gusti (Garlic & Herb Alfredo, Buffalo Cheddar, Three Cheese Jalapeño e Cheesy Southwest Chipotle) del suo Dinner Macaroni & Cheese non ha parlato di novità ma di ritorno al passato, inventando una falsa tradizione e creando una campagna ad hoc dal nome new-stalgic – nuova nostalgia.
Il sito web e i canali social media aziendali hanno accostato le quattro nuove varianti della ricetta Mac & Cheese a diversi avvenimento storici che hanno segnato in modo indelebile la storia americana dal 1939 ad oggi. Ricordi collettivi sono così associati a dei prodotti: nessuna reale attinenza storica, ma l’effetto nostalgia e vintage ha conquistato consumatori e clienti dimostrando che il ricordo (anche inventato!) spesso ha addirittura maggiore potenza comunicativa della realtà.
Conclusioni
Small Data, data-driven mindset, policanalità, modelli di business DTC e marketing della nostalgia: ecco cinque traiettorie su cui puoi – o meglio, devi 😉 – muoverti per intercettare nel modo giusto clienti e prospect, affrontando così al meglio questo periodo.
Sempre pronto a cambiare rotta e verso, in caso di necessità. D’altronde, non si chiamerebbe New Normal. No?