Riepilogo Contenuti
Negli ultimi anni, le città hanno senza ombra di dubbio aumentato la loro posizione e la rilevanza negli equilibri nazionali e internazionali. Osservatori privilegiati come quello del World Economic Forum analizzano continuamente gli spazi urbani, le loro mutazioni e le loro prospettive, nel tentativo di definire una mappa sociale, economica e geopolitica il più possibile veritiera sul mondo che verrà (e che è sempre meno prevedibile).
Quello delle città, dunque, è un tema importante da affrontare, e il city branding una leva per i territori per comunicare meglio, attrarre persone, prosperare e diventare sempre più competitivi.
Ma vado con ordine, parlando del significato e dell’importanza di essere una città competitiva.
Città Alfa, Beta, Gamma
A livello internazionale, esiste una classificazione interessante: quella che distingue tra città Alfa, Beta, Gamma. Una ricerca realizzata nel 1998 dal Gruppo di Studi sulla Globalizzazione e le Città Mondiali (GaWC) dell’Università di Loughborough a Londra, definì alcuni parametri e livelli classificando le diverse città mondiali. Qui trovi l’ultimo aggiornamento 2018.
Il risultato? Oltre a realtà per ora inarrivabili (Alfa+ / Alfa++) come Londra, New York, Hong Kong, Singapore, Parigi, Dubai, Tokyo, Singapore, esistono tre macro-gruppi principali:
- Città Alfa: Milano, Mosca, Chicago, Miami, Los Angeles, …
- Città Beta: Rio de Janeiro, Kiev, Philadelphia, Cape Town, …
- Città Gamma: Santo Domingo, Ankara, Belfast, Bilbao, …
Classificare le città è molto importante, per diverse ragioni. Per esempio, numeri alla mano sappiamo che le città Alfa sono più attrattive verso i giovani, le aziende e i professionisti che desiderano vivere una vita ‘senza confini’. Al contrario, le classifiche servono per motivare chi non è classificato ad entrarvi, generando un contesto a forte dinamicità e dove l’arena competitiva ha dimensioni globali.
City Branding: Il fascino della Città Creativa
Un’altra prospettiva interessante è quella proposta dal Prof. Richard Florida già all’inizio del nuovo millennio. Nelle riflessioni contenute in best seller come “The Rise of the Creative Class” (2002) e “Who’s Your City?” (2005), Florida ha proposto il Modello delle 3T, acronimo di talento, tecnologia e tolleranza. Sarebbero questi i tre ingredienti speciali per capire il livello di innovazione e appeal di qualsiasi territorio. Un territorio povero (in percentuale) di cittadini talentuosi, carente di tecnologia (anche in termini di aziende digitali e tecnologiche che hanno sede in loco) e poco tollerante verso qualsiasi eterogeneità e diversità non riesce più a competere nelle economie contemporanee.
Una prospettiva interessante anche perché trasversale alla dimensione e alla popolosità delle città stesse. Una differenza fondamentale rispetto alla classifica GaWC. Il Modello delle 3T di Richard Florida pone infatti sullo stesso piano città di micro, piccole, medie e grandi dimensioni, lanciando una sfida enorme per il city branding che è anche il motivo per cui stai leggendo questo articolo. La riassumo in una domanda.
In che modo comunicare effettivamente ed efficacemente le caratteristiche uniche di una città, oggi?
I risvolti positivi per un territorio sono tanti, tantissimi. Avere infatti un’immagine forte, immediatamente distinguibile e coordinata:
- consente di aprirsi al mercato del turismo con efficacia;
- attrae investimenti privati e pubblici;
- porta sul territorio le sedi delle migliori aziende nazionali e internazionali;
- attira giovani, innovatori, startup, generando nuovi ecosistemi creativi;
- genera, in ultima analisi, un’atmosfera unica e un’esperienza irresistibile per chiunque la viva.
City branding: gli esempi nazionali e globali che devi conoscere
Per un tema come questo, è obbligatorio iniziare da New York. Una metropoli che ha fatto del city branding una leva per svilupparsi ancora di più a livello globale, diventando meta di centinana di milioni di persone. Tutte accomunate da una sensazione: a New York, percepisci di esistere. Di vivere. Di respirare. Un’atmosfera unica, stimolata anche dal brand New York.
Spero e credo tu conosca l’immagine nella foto di cover di questo articolo. I ❤ NY: un logo potente, che dal 1977 viene ampiamente utilizzato e copiato per promuovere nel mondo la città. Un logo diventato vero e proprio brand, di proprietà del (fortunatissimo!) New York State Department of Economic Development. Non tutti sanno che, in realtà, il logo è parte di una campagna pubblicitaria più complessa e completa, caratterizzata anche da una canzone – diventata inno ufficiale nel 1980 – scritta e composta da Steve Karmen.
Più recentemente, l’agenzia creativa Bellweather ha ripensato il city brand di New York: è nato un segno più contemporaneo, fresco, cool.
Un segno ideale per ‘riempirsi’ e colorarsi in funzione dei diversi periodi dell’anno, come il Gay Pride durante il quale si tinge di arcobaleno. Un brand a prova di diversità, dunque. Tieni sempre a mente il Modello delle 3T di Richard Florida 🙂
Quello del cuore è un simbolo potente, che tocca le corde più emotive e meno razionali del pubblico. Tanto, dicevo, da fare diventare il brand New York imitato e seguito da altri. Anche in Italia abbiamo un buon esempio, da parte di una cittadina di medie dimensioni che da tempo sta lavorando e ripensando il proprio City Brand. Parlo di Parma, città emiliana ricca di risorse – cibo, cultura, paesaggi, … – che nel 2017 aveva proposto un brand territoriale vicino a quello di NYC.
Melbourne è un altro caso molto interessante di City Brand. Grazie all’agenzia Landor, ora basta solo la lettera M per identificare chiaramente una delle città più vibranti e competitive al mondo.
City Branding? Sì, ma con senno
Il city branding, dunque, si sta confermando un elemento di marketing territoriale fondamentale per attirare e fare restare più a lungo i turisti, ma anche per convincere i cittadini globali a passare la vita in una città. Si tratta di una ‘freccia’ a disposizione di qualsiasi città: perché l’arena competitiva è globale.
È tutto oro quello che luccica, dunque? Nì: come sempre, non dobbiamo dimenticare i social network! Uno strumento indispensabile per fare da cassa di risonanza alle comunicazioni e al marketing territoriale (non ci credi? Cerca gli hashtag dei più importanti monumenti del mondo, su Instagram…) ma anche un boomerang.
Infatti, selfie e overload di immagini rischiano a volte di diventare più importanti del monumeno in sè, del paesaggio, del reale. Ecco allora una campagna interessante lanciata da Vienna, per stimolare i turisti – in particolare, i più giovani – a godersi le meraviglie della città. Lasciando perdere autoscatti e hashtag inutili.
Un’iniziativa che sta aprendo la strada ad altri casi simili, spesso guidati direttamente dai cittadini stressati da questa sovra-produzione di immagini che lascia poco o nulla all’essenza dei luoghi. Per esempio, il comitato del quartiere di Rue Crémieux a Parigi, uno dei posti più instagrammati della capitale francese, sta pensando di bannare i turisti nei weekend e di sera. Un desiderio che si è trasformato in una richiesta formale al Comune di Parigi.
https://www.instagram.com/p/BuElvNzFSWd/
Dal City Branding alla City Innovation
In questo articolo ho presentato alcuni casi virtuosi o interessanti di city branding e iniziative di marketing (o un-marketing, come nel caso di Parigi) territoriale. C’è però una massima nel marketing che deve valere anche per i territori: la prova del nove sta sempre nelle azioni effettive della marca. Ovvero, oltre al brand c’è di più: la sfida per i territori è certamente grafica e di identità visual. Ma, una volta definito il proprio City Brand, le città devono svilupparlo e trasformarlo in servizi quotidiani efficienti, cure ai turisti e ai cittadini, spazi ben organizzati e sicuri.
In poche parole, il marketing territoriale deve ‘trainare’ la City Innovation, che oggi prende il nome di smart city, città connessa, città intelligente. E quesi sono tempi ottimi per passare dal dire, al fare.