Riepilogo Contenuti
Art Spiegelman, nome d’arte di Itzhak Avraham ben Zeev Spiegelman, nasce nel 1948 a Stoccolma, in Svezia, da genitori ebrei sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz.
È uno dei fumettisti più celebrati al mondo, conosciuto soprattutto per il suo capolavoro, cioè la graphic novel autobiografica Maus, con cui ha vinto un Premio Pulitzer speciale nel 1992.
Questo libro a fumetti, inizialmente diviso in due parti, è considerato come una pietra miliare nella storia dei fumetti, dato che è riuscito a creare un genere del tutto nuovo. Un’opera così grande che ha gettato un’ombra su tutto ciò che l’autore ha costruito nel corso della la sua lunga carriera.
L’infanzia e i genitori scampati ad Auschwitz
La storia dei genitori di Art Spiegelman è decisamente tragica e ha avuto un effetto dirompente sulla sua arte. Prima di Art, nel 1937 hanno un figlio di nome Rysio (Chiamato “Richieu”), morto intorno all’età di 6 anni: durante l’Olocausto, i genitori lo mandano da una zia, perché credono che lì sia più sicuro. Nel 1943, la stessa zia si suicida con del veleno, che dà anche a Rysio e ad altri suoi due figli, per scampare alla cattura da parte dei nazisti che li avrebbero portati in un campo di concentramento.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale i genitori di Spiegelman, che nel frattempo sono sopravvissuti ad Auschwitz ma hanno perso tutti i parenti durante l’Olocausto, lasciano la Polonia e raggiungono prima la Svezia, poi gli Stati Uniti nel 1951. Dopo qualche anno in Pennsylvania, nel 1957 si spostano nel Queens, a New York.
I racconti della guerra vissuti dai suoi genitori lasciano un segno indelebile su Art Spiegelman, che nel tempo vive anche una sorta di rivalità con il suo “fratello fantasma”: si sente incapace di competere con un fratello “ideale” che “non fa mai i capricci e non si mette mai nei guai”.
Le prime opere e il fumetto underground
Comincia a disegnare nel 1960 e la sua più grande influenza proviene dalla rivista MAD, in particolare il geniale Harvey Kurtzman. I genitori gli permettono di leggere qualunque cosa, anche generi come l’horror e il thriller, non conoscendo minimamente il mondo dei fumetti. Spiegelman ama la satira di MAD verso la politica, i media, la pubblicità e la società statunitensi, la sua continua sperimentazione con copertine e i layout della rivista. Tra le altre sue influenze ci sono sicuramente autori come Winsor McCay, Charles M. Schulz e Will Eisner.
I primi suoi lavori pubblicati compaiono nel 1963 su fanzine come Smudge e Blasé. Durante questo periodo disegna poster, flyer e fumetti brevi. Frequenta la High School of Art and Design a Manhattan e nel 1965 si iscrive all’Harpur College per studiare arte e filosofia. I genitori vogliono per lui una carriera da dentista, ma Spiegelman continua per la sua strada. Durante gli studi, riesce a trovare lavoro presso la Topps Chewing Gum Company: per loro crea le illustrazioni delle serie Wacky Packages and Garbage Pail Kids (in Italia conosciuti come gli “Sgorbions”). Insomma, si occupa dei disegni per le confezioni di gomme, carte collezionabili e adesivi. Porta avanti questo lavoro, che gli garantisce gli introiti per continuare a fare arte, per i 20 anni successivi.
Alla fine degli anni ’60, Spiegelman entra nel mondo dei fumetti underground: comincia a disegnare e auto-pubblicare fumetti, che vende in strada a partire dal 1966. Nel 1968 accade però qualcosa di tragico: Spiegelman ha un esaurimento nervoso che lo spinge a fermare gli studi. Durante quel periodo, proprio come il fumettista underground Robert Crumb, fa un uso intensivo di LSD. Passa un mese in un ospedale psichiatrico a Binghamton, New York. La tragedia avviene poco dopo la sua uscita: la madre si suicida. Questo plasma decisamente il tono dei suoi lavori successivi.
Nel 1971, Spiegelman si trasferisce a San Francisco, culla dei movimenti di controcultura e dell’underground comix. L’autore cerca di trovare sé stesso e la sua voce, sperimentando generi, stili grafici e narrativi. Alcune delle sue opere di questo periodo sono ad esempio il fumetto esplicito The Compleat Mr. Infinity (1970), seguito dal violentissimo The Viper Vicar of Vice nel 1972.
Le sue storie appaiono su tantissime riviste underground dell’epoca, come ad esempioYoung Lust, Real Pulp e Bizarre Sex: è il periodo della liberazione sessuale, dell’uso incontrollato di sostanze e degli hippy. Nel 1971 arriva però una delle prime storie autobiografiche dell’artista.
Si chiama Prisoner on the Hell Planet, un lavoro in stile espressionista di sole 4 pagine apparso su Short Order Comix. La storia narra degli effetti del suicidio della madre sullo stesso autore, con uno stile disturbante e asfissiante, con i disegni sbilenchi e tristi che riempiono completamente le poche tavole. Quest’opera segna solo l’inizio di ciò che sta per arrivare, cioè il vero capolavoro di Spiegelman.
Maus e RAW, i suoi capolavori
Nel 1972, l’amico e fumettista underground Justin Green chiede ad Art Spiegelman di disegnare una storia di tre pagine per il primo (e unico) numero della rivista Funny Animals. Inizialmente l’autore decide di parlare di razzismo, disegnando gli afro-americani come topi e i membri del Ku Klux Klan come gatti. Sapeva poco però di questo argomento, quindi decide di utilizzare questa idea di gatti e topi raccontando dei suoi genitori, sopravvissuti all’Olocausto. Chiama la strip “Maus”, dove il narratore della storia prende il nome, ironicamente, di “Mickey”. Lo stile di questo embrione, di quello che diventerà la sua opera più importante, è molto diverso dai libri a cui lavorerà negli anni successivi, più improntato sul cartooning puro.
L’autore continua negli anni successivi a pubblicare lavori e fumetti underground come Short Order Comix, in cui nel numero 2 del 1974 pubblica la storia Don’t Get Around Much Anymore. Si tratta di un vero e proprio flusso di coscienza sulla solitudine e sull’isolamento.
Sposa nel 1977 una donna francese, Françoise Mouly, con cui nel 1978 apre una casa editrice. Dopo alcune esperienze come colorista alla Marvel comics, Mouly frequenta alcuni corsi distampa offset e successivamente acquista una vera e propria macchina da stampa, con cui vuole stampare una nuova rivista che insiste per pubblicare insieme a Spiegelman. Quella pubblicazione si chiama RAW, una rivista a fumetti alternativa di grande formato, pubblicata a partire dal 1980 e destinata a un pubblico colto e che ha rappresentato un punto di svolta per le Graphic Novel come le conosciamo oggi.
All’interno di RAW vengono inclusi e pubblicati autori già affermati nella scena underground come Robert Crumb, oppure le traduzioni di opere di autori esteri come José Muñoz e Yoshiharu Tsuge. La rivista dà soprattutto la possibilità a nuovi autori di emergere, artisti sicuramente non convenzionali e che difficilmente avrebbero trovato spazio altrove, come Charles Burns, Lynda Barry e Chris Ware.
Ma la rivista è conosciuta anche per essere stato il contenitore della sua opera più importante, o meglio, di una seconda versione estremamente più lunga e complessa. Spiegelman mostra innanzitutto al padre le tre pagine di Maus pubblicate su Funny Animals. A quel punto il padre comincia a raccontare più dettagli del suo periodo nel campo di concentramento. L’autore, quindi, decide di intervistare seriamente il padre, registrando tutto, per entrare nei dettagli della sua storia. Si documenta sull’Olocausto, visita Auschwitz due volte e intervista anche persone vicine al padre, compresa l’attuale moglie.
Spiegelman pubblica quindi Maus per la prima volta all’interno di RAW, con un capitolo alla volta in ogni numero: si tratta di uno spillato senza copertina, di formato più piccolo, inserito all’interno della rivista. L’autore impiega un tempo lunghissimo per completare l’opera, che viene pubblicata tra il 1980 e il 1991: ben 13 anni di lavoro, visto che le interviste col padre sono iniziate nel 1978.
Maus è un’opera estremamente complessa, con uno stile del disegno apparentemente grezzo, ma che al suo interno nasconde una sintesi disarmante. Si tratta del primo fumetto che racconta l’Olocausto, che pagina dopo pagina diventa un vero e proprio reportage storico. Spiegelman, come già detto, utilizza i topi per rappresentare gli ebrei e i gatti per rappresentare i nazisti. Sono animali antropomorfi legati proprio alla tradizione dei Funny Animals come Topolino, ma calati per la prima volta in un contesto decisamente più drammatico.
All’inizio l’autore ha molte riserve riguardo al raccontare una storia ambientata in una delle peggiori tragedie umane mai accadute, utilizzando un mezzo associato a quel tempo alle “storie per bambini”. Poi si rende conto di un vantaggio nell’usare animali per raccontare la sua storia: risolve il problema di rappresentare correttamente le persone descritte da suo padre, ma che lui non ha mai incontrato.
Trovare lo stile di disegno giusto per gli animali e i loro ambienti richiede però a Spiegelman molto tempo e ricerca. Cercando artisti di animali antropomorfi, modella i suoi personaggi sull’immaginario di J.J. Grandville e Carl Barks. In particolare, le storie di Paperino di Barks sono state molto influenti per lui, perché i suoi Funny Animals si comportavano e reagivano come esseri umani credibili.
Maus viene pubblicato poi in forma libro, in due volumi, dalla Pantheon Books, dopo almeno 27 rifiuti di altre case editrici. Il primo volume prende il nome di Mio padre sanguina storia e racconta la vita dei genitori, Vladek e Anja Spiegelman, prima di finire nel campo di Auschwitz. Il secondo libro è E qui sono cominciati i miei guai, dove descrive la vita all’interno del campo di concentramento.
Il racconto non tratta solo dell’Olocausto, ma del rapporto padre-figlio, e delle conseguenza per l’autore di essere figlio di due sopravvissuti a questa enorme tragedia.
Attraverso la storia della sua famiglia, Spiegelman esplora alcuni temi universali come la perdita, la sopravvivenza e il peso della memoria, che rendono Maus un’opera di risonanza mondiale e che ha contribuito a definire la graphic novel come forma d’arte capace di trattare argomenti di grande importanza.
Maus è stato un successo mondiale e ancora oggi vende centinaia di migliaia di copie in tutto il mondo. Spiegelman si è anche espresso su questo successo:
“Sono fiero di Maus, sono fiero di esser stato in grado di farlo, che sia nato tramite me. D’altro canto, ha inevitabilmente oscurato qualsiasi cosa che abbia fatto dopo e che abbia fatto prima, a volte in modi che trovo ingiusti”.
Le copertine per il New Yorker e le opere post 11 settembre 2001
Tra il 1991 e il 2002, Spiegelman collabora con la popolare rivista The New Yorker, creando fumetti e copertine iconiche, di cui alcune hanno scatenato molte polemiche. Alcune delle sue opere per questa rivista sono anche interviste o saggi su fumettisti influenti come Harvey Kurtzman e Charles M. Schulz (“Abstract Thought is a Warm Puppy” del 2000). Alcune delle copertine che propone vengono in parte modificate o criticate, perché giudicate troppo controverse. Ad esempio, la sua copertina di “Valentine’s Day” del 1995, apparsa poco dopo le rivolte a sfondo razziale tra ebrei e afro-americani a Crown Heights, mostra un rabbino che bacia una donna nera. Spiegelman attraverso la sua illustrazione vuole trasmettere un messaggio pacifista, ma molti lettori al tempo interpretano la copertina come razzista o come la rappresentazione di un rabbino che bacia una prostituta.
Altre opere iconiche di Spiegelman riguardano il trauma post 11 settembre 2001. Spiegelman e Françoise Mouly si trovano infatti a New York durante quel tragico giorno: a quel tempo i loro figli frequentano una scuola non molto lontano dal World Trade Center. Come sempre l’autore decide di esprimere i suoi sentimenti sotto forma di fumetto, dichiarando durante un’intervista: “la tragedia sembra essere la mia musa”. La serie a fumetti, intitolata In the Shadow of No Towers, fu prima serializzata sul tedesco Die Zenit dal 2002 al 2004, poi pubblicata in un libro. Iconica la copertina, con l’ombra delle due torri nero su nero: sono visibili solo rivolgendo la copertina verso la luce.
L’eredità di Art Spiegelman
Il lavoro di Art Spiegelman, contemporaneamente innovativo ma anche provocatorio, ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo dei fumetti e della letteratura visiva. Le sue narrazioni, che intrecciano profonde riflessioni personali con eventi storici, hanno spinto i confini di ciò che i fumetti possono comunicare, elevando il medium oltre la sua percezione tradizionale di intrattenimento leggero per bambini.
Una parte importante dell’eredità di Spiegelman non risiede solo nei suoi fumetti, ma nelle graphic novel di decine di artisti ispirati da Maus e da altre sue opere. La rappresentazione autobiografica di cui Spiegelman è stato pioniere, si può infatti trovare in opere come Persepolis di Marjane Satrapi, Palestine di Joe Sacco e Jimmy Corrigan di Chris Ware, a loro volta piccole pietre miliari del genere.
Benché Spiegelman abbia sempre temuto di essere etichettato solo come “quello di ‘Maus'”, è innegabile che il suo lavoro più importante sia riuscito ad elevare il fumetto come forma d’arte legittima, con i suoi codici unici e infinite potenzialità.